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Una vita per la Palestina (Rinascita, 30/05/2004)
Come il Gran Muftì di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini, mobilitò le forze del mondo
islamico a fianco dell’Europa. Un volume scritto da Stefano Fabei e presentato da Sergio
Noja Noseda.
All’albergo Palace di Gedda, dove nel 1964 alloggiò per qualche giorno prima di compiere
il Pellegrinaggio alla Mecca, Malcolm X fu testimone degli affettuosi omaggi di cui era
destinatario un altro pellegrino, suo vicino di stanza. “Una folla gli si raccolse intorno per
baciargli la mano – scrive il capo dei Black Muslims nella sua Autobiografia – ( . ) Più
tardi, nell’albergo, avrei avuto occasione di parlare con lui per una mezz’ora. Era un uomo
di grande dignità, dai modi molto cordiali, al corrente su tutte le questioni internazionali,
compresi gli ultimi sviluppi della situazione americana”.(1) Quell’uomo era al-Hâj
Muhammad Amîn al-Husaynî, Gran Muftì di Gerusalemme. Ventitré anni prima di Malcolm
X, era stato Adolf Hitler a parlarne in maniera ammirata, sottolineando la nobiltà della sua
figura e la “superiorità della sua intelligenza”(2) e concedendogli un privilegio mai
concesso a nessuno: lo ospitò nel Palazzo Imperiale di Berlino e diede disposizioni
affinché sull’edificio la bandiera della Palestina sventolasse più in alto di quella del Reich.
Muhammad Amîn al-Husaynî era nato nel 1897 a Gerusalemme. La famiglia di
discendenti del Profeta di cui era originario annoverava tra i propri membri tutti quegli
esperti di diritto sacro che negli ultimi due secoli avevano ricoperto la carica di muftì nella
città santa. Compiuti i primi studi in Palestina, all’età di sedici anni Muhammad Amîn
frequentò l’università islamica dell’Azhar, al Cairo, dove fu tra gli animatori e gli
organizzatori del movimento antibritannico. Dopo la prima guerra mondiale, nel corso della
quale fu ufficiale nella 46ª divisione dell’esercito ottomano, diventò l’ispiratore della lotta
dei Palestinesi contro l’occupazione inglese e l’immigrazione sionista. Sfuggito alla polizia
militare britannica che era andata ad arrestarlo, riparò in Transgiordania, dove proseguì
nella sua attività rifornendo i Palestinesi di armi e munizioni e guadagnandosi una
condanna in contumacia a dieci anni di carcere. Diventato Gran Muftì di Gerusalemme e
presidente del Supremo Consiglio Islamico, al-Husayni intensificò la lotta organizzando le
sollevazioni del 1929 e del 1936, che videro i Palestinesi insorgere contro la presenza
anglo-sionista. Successivamente continuò l’azione nella Siria sottoposta al controllo
francese; poi, nel 1939, passò in Iraq.
In Iraq i sentimenti anticolonialisti erano largamente diffusi tra la popolazione e un gruppo
come al-Futuwwah aveva inviato al Congresso di Norimberga una propria delegazione,
mentre il suo capo era stato ricevuto da Hitler. La presenza del Gran Muftì rinvigorì
ulteriormente le tendenze indipendentistiche: il 21 marzo 1940 si installò a Bagdad un
nuovo governo, presieduto da Rashîd ‘Alî al-Kilânî, che proclamò di voler mantenere la
neutralità del paese riguardo al conflitto scoppiato in Europa. Londra rispose intimando al
governo iracheno di rompere le relazioni diplomatiche con la Germania e l’Italia, ma
l’autorevole appoggio del Gran Muftì consentì ad al-Kilânî di respingere l’ingiunzione.
L’Inghilterra reagì aggredendo l’Iraq, tra l’aprile e il maggio 1941; il governo di Bagdad
decretò la mobilitazione totale e il Gran Muftì lanciò un appello alla solidarietà araba, che
fu accolto da migliaia di volontari siriani, transgiordani e palestinesi. Tuttavia, data la
preponderanza materiale delle forze britanniche e il ritardo dell’intervento italo-tedesco, nel
giro di un mese lo status quo coloniale venne ristabilito.
Il Gran Muftì, insieme,con al-Kilânî e i ministri del governo iracheno, dovette riparare in
lran; ma alla fine di agosto ebbe luogo in questo paese l’intervento militare anglo-sovietico
che collocò sul Trono del Pavone Muhammad Reza Shâh. Fu così che al-Husaynî e al-
Kilânî vennero in Europa.
Dopo un viaggio rocambolesco attraverso il Vicino Oriente e i Balcani, il 24 ottobre il Gran Muftì è in Italia. A Roma viene ricevuto da Mussolini (3) e da Ciano e si incontra coi dirigenti musulmani residenti in Italia; parla dai microfoni di Radio Roma ed esorta tutti i Musulmani del mondo a sostenere la battaglia dell’Asse. Poi, invitato a Berlino, parte per la Germania, dove il 20 novembre è ricevuto da Ribbentrop e il 28 è a colloquio con Hitler. Giornali e cinegiornali tedeschi lo mostrano all’uscita della Moschea di Berlino, a colloquio con Hitler e con i dirigenti del Reich, a contatto con la popolazione tedesca. Si registrano numerosi casi di Tedeschi che abbracciano l’Islam, pronunciando la formula di rito davanti al Gran Muftì.(4) Dai microfoni della Deutscher Rundfunk, che trasmette in lingua araba e diffonde attraverso l’etere le parole del Corano, il Muftì dichiara che la vittoria della Germania significherebbe non solo la liberazione della Palestina, ma l’indipendenza di tutto il mondo arabo, dal Marocco alla Mesopotamia. Riportiamo un brano significativo del discorso che al-Husaynî pronuncia alla radio tedesca in occasione de Festa dei Sacrifici. “Oggi il mondo islamico si trova davanti al problema della lotta per l’indipendenza. Solo uno sforzo incondizionato e un sacrificio generoso giustificano la libertà dell’esistenza. Ai nemici che han fatto di tutto per umiliare gli Arabi e assoggettare l’Islam bisogna opporre massima resistenza. Tra nemici di sempre dell’Islam e degli Arabi si trovano, primo luogo, i giudei; essi hanno avversato l’Islam dai suoi esordi e, allo scopo di realizzare il loro disegno di egemonia mondiale, hanno scatenato contro i popoli una guerra che deciderà della loro stessa esistenza. I giudei costringono il popolo arabo ad affrontare questa lotta per la vita o per morte tentando, con tutti i mezzi suggeriti loro dall’odio per la nostra gente, di espellere e sterminare la popolazione araba della Palestina, che è Terrasanta anche per l’Islam. Già da tempo il capo sionista dr. Chaim Weizmann ha dichiarato che un giorno il Nordafrica sarà un ponte tra i due massimi centri giudaici: New York e Gerusalemme. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna appoggiano in ogni maniera i piani giudaici, soffocando col terrore, col sangue e col fuoco tutte le proteste degli Arabi e dei Musulmani. Da un estremo all’altro del mondo islamico quattrocento milioni di Musulmani subiscono il dominio delle potenze alleate, alle quali si è unito il bolscevismo ateo e distruttore, che opprime crudelmente quaranta milioni di Musulmani. Luoghi d’orazione e moschee sono stati distrutti, dignitari islamici bestialmente assassinati. Anche la politica anglosassone ha mietuto numerose vittime tra i Musulmani: uomini, donne, bambini. Tutti questi fratelli, eliminati nell’interesse della plutocrazia giudaica in Palestina, nel Hadramaut, in Iraq, in Egitto e nell’Unione Sovietica, non saranno mai dimenticati, né dagli Arabi né dai Musulmani. La guerra attuale, scatenata dai giudei, è l'occasione che si presenta ai Musulmani per liberarsi dalla persecuzione e dal terrore che incombono continuamente sulla terra dei loro antenati. Che la Festa dei Sacrifici ricordi a ciascuno di voi che è necessario combattere questa lotta per la libertà con spirito di sacrificio sempre più grande”. Nell’aprile del 1943 il Gran Muftì si reca personalmente in Croazia per invitare i Musulmani della regione a combattere il gihàd nei ranghi della Kroatische SS Freiwilligen-Division, istituita nel febbraio di quello stesso anno. La divisione, forte di 20.000 Bosniaci e di alcune centinaia di Albanesi, viene trasferita nella Francia centro-meridionale, a Le Puy, 60 chilometri a sud-ovest di St. Étienne, dove si addestra agli ordini dell’SS Obersturmbannführer bosniaco Husein-Beg Biscevic. Nel febbraio dell’anno successivo, quando la divisione musulmana sarà di nuovo in Bosnia, i volontari che accoglieranno l’appello del Muftì e correranno ad arruolarsi saranno tanto numerosi, che si renderà necessario costituire una seconda divisione. E così, accanto alla divisione addestrata a Le Puy, che il 15 maggio 1944 riceverà la denominazione definitiva di 13. Waffen-GebirgsDivision der SS “Handschar” (kroatische Nr. 1), nascerà la 23. Waffen-Gebirgs-Division der SS (kroatische Nr. 2), che sarà poi chiamata “Kama”. Nel settembre 1944 le due divisioni bosniache saranno, riunite nel IX. Waffen-Gebirgs-Korps der SS, mentre gli elementi albanesi verranno inquadrati in una divisione di nuova formazione: la 21. Waffen-Gebirgs-Division der SS. Nell’ottobre del 1944, infine, si costituirà un altro reggimento musulmano. I residui di queste formazioni musulmane continueranno a combattere in Austria fino al 7 maggio 1945, quando gli Inglesi li cattureranno e li faranno massacrare tutti dai titoisti, a Maribor. Dopo la sconfitta dell’Asse, il Gran Muftì fu arrestato alla frontiera francese e poi assegnato al domicilio coatto. Poiché i Francesi rifiutarono di consegnarlo ai Britannici, i quali 16 avrebbero voluto processare come “criminale di guerra”, i terroristi ebrei dell’Irgun architettarono un sequestro di persona. Avuto sentore di questo progetto, il Muftì fuggì dalla Francia e riuscì, il 29 maggio 1946, a raggiungere il Cairo. Anche il governo egiziano rispose con un diniego alla richiesta di consegna del Muftì avanzata dal console britannico in Egitto, ma si impegnò a tenerlo sotto stretto controllo e gli impedì di andare in Palestina. L’11 giugno, però, la Lega Araba nominò il Muftì alla presidenza del Supremo Comitato Arabo per la Palestina. Ottenuta così una pressoché totale libertà d’azione in Egitto e stabilito al Cairo il proprio quartier generale, al-Hâj Muhammad Amîn Husaynî riorganizzò l’esercito di liberazione palestinese (al-Jihàd al-Muqaddas) sotto il comando di ‘Abd al-Qâdir al-Husaynî, unificò in un solo organismo politico organizzazioni e gruppi diversi e istituì un “Tesoro Arabo” incaricato di procurare i fondi per finanziare la lotta. Il 29 novembre 1947, allorché l’ONU adottò la risoluzione 181 che prevedeva lo smembramento della Palestina in uno Stato ebraico e uno palestinese, il Gran Muftì e i comitaìi religiosi della Palestina riaffermarono l’indivisibilità della Palestina. Anzi, il Muftì rispose alla risoluzione dell’ONU inviando i suoi mugiâhidîn a eseguire una serie di operazioni militari in territorio palestinese. Il 15 maggio 1948, quando gl’Inglesi lasciarono la Palestina e i sionisti proclamarono la nascita di una loro entità politica, gli eserciti arabi entrarono nel territorio palestinese. Il Muftì mantenne il comando della sua formazione militare e si diresse verso Safad, per fondare uno Stato arabo nel nord della Palestina; ma il re giordano ‘AbdalIâh, che agiva nel quadro di un piano inglese ed era controllato dal gen. John Bagot Glubb, sabotò le mosse del Muftì e favorì i sionisti, sicché il 19 luglio il conflitto terminava con la sconfitta araba. Il 22 settembre si formò un governo palestinese a Gaza e il Muftì fu eletto presidente del nuovo Stato, che venne riconosciuto da tutti i governi arabi, eccetto quello di ‘AbdalIâh, finché il Muftì fu costretto dagli Egiziani a tornare al Cairo e il re giordano poté procedere all’annessione della Striscia di Gaza. Se da una parte tutto ciò causò il declino delle fortune politiche del Muftì, d’altra parte quest’ultimo non cessò di impegnare ogni sua energia per la causa palestinese, conseguendo una serie di risultati sul piano internazionale. Nel febbraio 1951, presiedendo la Conferenza Mondiale Islamica a Karachi, egli dichiarò davanti alle delegazioni di quarantacinque paesi che la liberazione della Palestina era un dovere della comunità musulmana, sicché la conferenza adottò una risoluzione che impegnava tutti i Musulmani del mondo ad appoggiare la lotta contro il sionismo. Il Muftì guidò una delegazione palestinese alla Conferenza Islamica dell’anno successivo, che approvò una risoluzione analoga. Il ruolo di al-Hâj Amîn al-Husaynî fu riconosciuto anche dall’URSS: alla fine del febbraio 1953, nel pieno della campagna stalinista contro i medici ebrei del Cremlino e due settimane dopo che Mosca ebbe rotto i rapporti diplomatici con Israele, il ministro degli esteri sovietico Andrej Visinskij invitò a Mosca il Gran Muftì.(5) Nel 1955 la delegazione guidata dal Muftì partecipò alla Conferenza di Bandung, dove i paesi afroasiatici dichiararono il loro appoggio alla causa palestinese. Deterioratosi il rapporto con ‘Abd al-Nâsir a causa del dissidio tra il Ra’îs egiziano e i Fratelli Musulmani, il 15 agosto Amîn al-Husaynî trasferì a Beirut il quartier generale del Supremo Comitato Arabo la Palestina. Nel 1961 fu in India, Pakistan e alla Mecca, dove organizzò la Conferenza Mondiale Islamica di sostegno alla causa palestinese che ebbe luogo a Bagdad nel maggio 1962. Due anni dopo, nel marzo 1964, il primo Consiglio Nazionale Palestinese sancì la formazione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e ne elesse presidente Ahmad al-Shuqayrî. Per quanto convinto che l’unico rappresentante del popolo palestinese fosse il Supremo Comitato Arabo e quindi non approvasse la nascita dell’OLP, Amîn al-Husaynî diede tutto il suo appoggio al nuovo organismo quando vide che questo godeva della fiducia dei Palestinesi. Il 27 dicembre fu lui ad assumere, in Somalia, la presidenza della sesta Conferenza Islamica, che riconfermò l’appoggio alla causa palestinese. Dopo essere rimasto trent’anni lontano da Gerusalemme, il Gran Muftì vi fece ritorno nel marzo 1967, alla vigilia dell’aggressione sionista contro i paesi arabi. Fu un’accoglienza trionfale, superata soltanto dall’impressionante corteo di Beirut che sette anni più tardi accompagnò le spoglie mortali dell’instancabile mugiàhid: al-Hâj Muhammad Amîn al-Husaynî accedette alla Terrasanta celeste il 4 luglio 1974. 1. Autobiografia di Malcolm X, Torino 1967, p. 389. 2. “Il Gran Mufti è un uomo che in politica non fa del sentimento. Capelli biondi e occhi azzurri, sembra, nonostante il viso sparuto, che abbia più di un antenato ariano. Non è impossibile che il miglior sangue romano sia all’origine della sua stirpe”. A. Hitler, Idee sul destino del mondo (trad. it. dei Bormann-Vermerke), Padova 1980, vol. III, p. 478. 3. Sui rapporti del Gran Mufti con Mussolini, cfr. Renzo De Felice, Il Fascismo e l'Oriente, Bologna 1988, passim e Luigi Goglia, Il Mufti e Mussolini: alcuni documenti italiani sui rapporti tra nazionalismo palestinese e fascismo negli anni trenta, “Storia Contemporanea”, a. XVII, n. 6, dicembre 1986, pp. 1201-1253. 4. Già prima dell’arrivo del Gran Muftì a Berlino, comunque, si erano verificate parecchie conversioni all’Islam. Nel novembre 1938 il periodico francese “L 'Univers” aveva pubblicato un articolo (Les adorateurs de l’Islam) che, riprendendo notizie e affermazioni apparse su giornali tedeschi (“Der Arbeitsmann”, “Fridericus” ecc.), lanciava questo grido d’allarme: “Gli Austriaci 'restituiti' al Reich devono sapere che, nella loro nuova capitale, le sfere dirigenti preferiscono la religione di Maometto al cristianesimo e che questa religione vede accrescersi il numero dei propri aderenti anche nei registri ufficiali”. 5. “L'invito, annunciato proprio il primo giorno della festa ebraica dei Purim, venne fatto mentre in tutto il Gulag collaborazionisti nazisti, ex-guardie fasciste e altri criminali di guerra aggredivano i prigionieri ebrei, che si sentivano dire: «La vostra fine è vicina». Louis Rapoport, La guerra di Stalin contro gli ebrei, Milano 1991, p. 212. Cfr. Yehoshua Gilboa, The Black Years of Soviet Jewry 1939-1953, Boston, Little-Brown 1971, p. 318. Così non sarebbe stato, poiché Stalin morì proprio per la festa dei Purim, che nel 1953 cadde tra domenica 1 marzo e lunedì 2 marzo.

Source: http://www.stefanofabei.it/palestina/10.pdf

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